I giudizi degli analisti finanziari sul comparto petrolifero sono moderatamente positivi, anche alla luce della consistente revisione al rialzo delle stime di crescita sia relative agli utili per azione che agli utili operativi per l’esercizio in corso. In particolar modo, i miglioramenti sembrano beneficiare certamente di una sorta di “effetto comparativo positivo“, che non può che portare a un rapido confronto con i decisi cali che erano stati registrati nel corso del 2016, e che erano stati limitati solamente in parte dai risultati degli ultimi mesi dell’anno.
In modo più dettagliato, a pesare in misura maggiore sono le attese per livelli ancora elevati del prezzo del petrolio, con il greggio che dovrebbe stabilizzarsi in maniera quasi certa al di sopra della soglia di 50 dollari al barile. È anzi probabie che il prezzo medio del WTI possa essere pari ad almeno 53 dollari per il 2017, e possa poi crescere a quota 55 dollari nel 2018 o puntare ai 60 dollari nel corso del 2019.
Le motivazioni che supportano un simile ottimismo, come più volte abbiamo ricordato sui nostri siti, sono riconducibili alle prospettive di contenimento dell’offerta da parte dei Paesi OPEC e non-OPEC, anche da un aumento della domanda. Le statistiche più recenti affermano che i tagli alla produzione concordati sono rispettati per il 90%, e ciò lascia presagire anche per la serietà di una possibile nuova intesa dopo la scadenza del termine temporale di questi accordi.
Peraltro, ad avvantaggiarsi di questa situazione dovrebbero risultare i gruppi con elevate attività di E&P (Exploration & Production), rispetto a quelli con business integrati, che a loro volta hanno garantito maggior sostegno negli ultimi esercizi, per via delle caratteristiche difensive.