Il petrolio sta continuando a consolidare le proprie posizioni. Naturalmente, come ben intuibile sulla base di quanto avvenuto negli scorsi mesi nel comparto delle materie prime, la principale motivazione di questo comportamento non può che essere ricondotta all’impegno dell’OPEC di procedere nei confronti della direzione di un taglio della produzione e nonostante i segnali di aumento dell’attività di estrazione negli Stati Uniti e il ritorno dello shale–oil (elemento che, peraltro, era ben prevedibile in concomitanza del rialzo delle quotazioni del greggio).
Al momento, inoltre, l’accumulo di scorte EIA è ancora sotto il consenso dei principali analisti finanziari, con un livello pari a 1,5 milioni di barili contro le attese degli analisti per oltre 1,6 milioni di barili. Un elemento che non sembra aver però dato ulteriore slancio al movimento in atto, supportandolo nei sensi di un lieve consolidamento delle posizioni.
Pertanto, sullo sfondo l’OPEC ha ridotto la produzione per il secondo mese consecutivo a febbraio con una percentuale di adesione al target prefissato del 94 per cento. I forti tagli da parte di Arabia Saudita e Angola stanno compensando l’adesione più debole da parte di altri produttori. Non è certamente un caso – come peraltro sottolineato da alcuni report statistici governativi pubblicati nelle ultime settimane, che la produzione di petrolio russo sia rimasta stabile a 11,11 milioni di barili al giorno durante il mese di febbraio. Mosca sta quindi disattendendo il proprio impegno a frenare la produzione nell’ambito di un accordo globale con l’OPEC, dopo essersi fatta tra i principali portavoce per un accordo che potesse essere esteso anche alla macro area esterna al cartello. Vedremo che cosa accadrà nelle prossime settimane, decisive per poter supportare il raggiungimento degli obiettivi dell’intesa e la formulazione di un’eventuale ulteriore intesa per il periodo successivo.