Il rischio è – come noto – una grandezza che risulta essere strettamente legata con la probabilità di poter prevedere l’esito di un evento. In questo senso, misurare il rischio in misura quantitativa, ovvero la misurazione del rischio che è tradizionalmente insito in ogni operazione finanziaria, è un elemento di approccio essenziale per ogni operatore del settore che desidera avvicinarsi con consapevolezza all’individuazione delle proprie migliori strategie di impiego.
Proprio per dare una misurazione di tale rischio, è nato e si è ampiamente sviluppato il concetto di volatilità, che è dato a sua volta dalla possibilità di misurare le oscillazioni del mercato (più precisamente dei suoi rendimenti) al fine di ottenere un valore oggettivo e di facile interpretazione e confronto.
Generalmente, in letteratura la volatilità può essere intesa in senso storico o in senso implicito. Per quanto concerne la prima categoria, legata alla volatilità storica, ma spesso chiamata anche con il nome di volatilità realizzata, si intende generalmente una misura rappresentata con degli indicatori di natura statistica, al fine di misurare in maniera matematica le variazioni che il particolare strumento finanziario ha avuto nel passato.
Se invece ci si vuole riferire alla volatilità implicita, ci riferiamo in realtà alla la stima della volatilità attesa nel futuro, sulla base dell’osservazione di particolari strumenti derivati (le opzioni). Il calcolo della volatilità implicita viene effettuato utilizzando la formula di Black & Scholes, che a sua volta ricava questo valore tramite le altre variabili note (lo strike price, cioè il prezzo di esercizio dell’opzione, il giorno di scadenza del contratto, il tasso di interesse risk free e il valore del bene sottostante). In questo caso, sarà lo stesso mercato a stimare la volatilità di un sottostante sulla base del valore dell’opzione.