Licenziamento disabile non annullabile per superato periodo di comporto

Licenziamento disabile e periodo di comporto, le disposizioni della Cassazione

lavoroLa questione del licenziamento, perno degli approfondimenti del portale specializzato licenziamento.org, è rilevante per ogni lavoratore, ma può divenire una materia ancor più spinosa qualora il protagonista sia un disabile. È quanto occorso a un dipendente disabile che non ha visto riconoscersi, nei due primi gradi di giudizio, l’illegittimità del licenziamento subito per aver ecceduto il periodo massimo di assenza dal posto di lavoro per malattia.

Un successivo ricorso porta il caso all’attenzione della Corte di Cassazione, intervento condotto, da parte del disabile, nella convinzione che il licenziamento in oggetto potesse rientrare nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e sia quindi annullabile.

I giudici della Suprema Corte si esprimono in coerenza con i precedenti gradi di giudizio, ma ciò che ha reso interessante il caso sono le motivazioni offerte dagli Ermellini. Il principale riferimento giurisprudenziale è costituito dalle previsioni dell’articolo 10, che implicano l’annullabilità del licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo del disabile nell’eventualità in cui il numero dei restanti lavoratori occupati obbligatoriamente risulti inferiore alla soglia di riserva.

Le previsioni dell’articolo 10 non possono però interessare anche il licenziamento per il superamento del periodo di comporto, e i magistrati hanno rigettato il riscorso. Si tratta di una sentenza che ha attuato un criterio, già evidenziato in precedenza dalla Cassazione: “in tema di licenziamento del lavoratore disabile, l’art. 10, co. 4, L. n. 68/1999 – che consente l’annullabilità del recesso nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente «qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva» prevista dal precedente art. 3 della legge – riguarda soltanto il «recesso di cui all’art. 4, co. 9, L. n. 223/1991, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo» e non anche gli altri tipi di recesso datoriale”.

Licenziamento disabile per giusta causa e Legge 68/99

I lavoratori con disabilità sono tutelati dalla Legge 68/99, che interessa l’istituto del cosiddetto collocamento obbligatorio. Una norma che riguarda soggetti in età lavorativa che presentano minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, ma anche disabili intellettivi, che prevedano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento.

Possono fruire delle tutele della Legge 68/99 anche le persone invalide del lavoro (con un livello di invalidità superiore al 33 per cento) e quelle non vedenti o sorde, gli invalidi di guerra, invalidi civili di guerra e per servizio. Questo riferimento legislativo definisce anche le potenziali variazioni di mansione, di ruolo o impresa inseguito al cambiamento nell’ambito delle condizioni di salute del disabile o dell’organizzazione interna dell’impresa. In generale ricordiamo che i datori di lavoro, siano essi pubblici o privati, sono chiamati ad assumere una quantità di lavoratori con disabilità a quote scaglionate, sulla scorta del numero globale dei dipendenti.

Il licenziamento si realizza per esito negativo della prova, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, ma anche nell’eventualità di giustificato motivo oggettivo o per riduzione di personale. In base a una recente sentenza della Corte di Cassazione è stato inoltre stabilito che: «II licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale sol quando è motivato dalle comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dall’art. 10, legge n. 482/1968, ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica».

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